Con il Governo Renzi si apre una fase per l’Italia che è poco dire decisiva sia sul fronte economico che sociale. L’affermarsi rapido delle riforme annunciate costituisce il discrimine per far sì che si passi dalle parole ai fatti, consentendo al Paese di agganciarsi ai, seppur timidi, segnali di ripresa.

Sul fronte sociale maggiore equità e recupero di reddito per le fasce più deboli del mondo del lavoro e dei pensionati è una delle priorità vere. Così come lo è il sostegno alla crescita che passa per agevolazioni non a pioggia alle imprese, per un efficientamento e sburocratizzazione del comparto pubblico allargato e per la diminuzione dei costi della politica, delle istituzioni regionali e degli enti locali dove si annida maggiormente la dispersione di risorse e talvolta la corruzione. Certo è che traguardi così alti non possono prescindere da un calo della litigiosità della politica e da una valorizzazione del ruolo e dell’apporto delle forze sociali.

Sebbene l’Italia presenti numeri migliori del recente passato molto è legato alla evoluzione e alla credibilità del percorso di rilancio della crescita che oltre ad essere senza alternative è, come noto, appesantito dal peso del debito pubblico e dalle implicazioni della sua ineludibile e costante riduzione.
Questo parametro, considerato che nel 2014 dovranno essere rinnovati oltre 320 miliardi di euro di titoli di stato, determina una condizione per l’Italia di osservato speciale dell’Eurozona.
Le stime sull’andamento dell’economia presentano un PIL 2013 pari ad un -1,8% con una inversione nell’ultimo trimestre, primo segno positivo dal 2011. L’elemento più preoccupante è però il calo dell’occupazione che, secondo Eurostat, a gennaio 2014 è arrivato a circa il 13% della forza lavoro con una crescita rispetto al 2013 di oltre un punto percentuale. Un dato e una condizione imprevedibili fino a qualche anno fa, che assumono un connotato di messa in discussione seria della tenuta sociale ove si consideri il tasso (42,4%) di disoccupazione giovanile: il più elevato registrato dalla serie storica e di ben quattro punti superiore a quello del 2012.

Si pensi che nel luglio 2007, data d’inizio della grande crisi la disoccupazione giovanile, benché alta, sfiorava il 20%. Insomma l’Italia deve riprendere ad essere un Paese anche per i giovani.
Secondo economisti e pubblicisti i dati sull’occupazione possono peggiorare ulteriormente a seguito degli effetti derivanti dalle ristrutturazioni aziendali e dalla riduzione dei costi intrapresi dalle aziende che cercano in tal modo di recuperare redditività e competitività sui mercati.
Tale situazione ove non obbligatoriamente affrontata e “curata” determinerebbe una irreversibilità della delegittimazione della politica, alimentando la già strisciante dissociazione sociale favorita anche dal prelievo fiscale tra i più alti in Europa. Ne è la prova lo sciagurato “referendum” fatto nella regione Veneto per separarsi dall’Italia.
La cosa fa un po’ ridere come fanno ridere amaramente le affermazioni di primari personaggi del mondo delle imprese di voler, anche se con finalità diverse, andare all’estero ove non siano accolte le loro istanze. Tutto ciò dopo che per anni questi signori, hanno sfruttato il “marchio Italia”. C’è insomma chi vuol “scappare” e chi a fronte delle necessarie riforme costituzionali invoca la tenuta della democrazia e delle istituzioni. Per fortuna i temporeggiatori sono pochi altrimenti...
La prudenza delle istituzioni europee verso le riforme e il finanziamento alla crescita portati avanti dal governo Renzi appare scontata, ma sarebbe un macigno pesantissimo la rigidità sul rapporto deficit-PIL che per assecondare l’uscita dalla crisi dovrebbe essere gestito invece con la opportuna flessibilità temporale seppur legata a parametri di rapporto con la crescita della occupazione, con la efficienza della P.A. e dei servizi e con un calo del debito pubblico. Sembra, infine, che le istituzioni e i governi europei stiano sottovalutando gli effetti distorsivi e negativi che il rapporto euro-dollaro sta determinando, insieme a politiche di svalutazione competitiva attuate da altre aree valutarie, sul recupero di competitività dell’area euro anche a fronte di pesantissimi sacrifici operati soprattutto in paesi periferici come l’Italia, che punta molto sull’export. I compiti da fare sono davvero molti e vanno fatti ora e tutti insieme all’insegna comunque della serietà, dell’equità sociale e della riduzione delle disuguaglianze.

Volentieri riportiamo l’articolo uscito recentemente sul quotidiano “il Messaggero” a firma dell’economista Giulio Sapelli che intreccia i temi della riforma e della crescita economica con il coinvolgimento del mondo del lavoro e delle imprese:

Riformare l’Europa per battere l’austerità
Bisogna capovolgere decisamente il paradigma. L’austerità, in economia, può essere un fattore positivo se applicata su scala nazionale per eliminare le rendite e valorizzare il capitale e il lavoro. Essenziale, dunque, è riprendere la bandiera dell’alleanza tra produttori, un’alleanza che si tentò di stipulare senza successo sul finire degli anni sessanta del novecento. Quell’insuccesso ebbe conseguenze devastanti per il Paese. Ma è di nuovo su quei punti fondamentali di lotta alla rendita e di crescita della competitività nazionale che occorre ricostruire una nuova politica economica nel quadro europeo e internazionale. Con un’armonia diversa, tuttavia. Ossia nella consapevolezza che oggi quell’alleanza deve coinvolgere i servizi e la pubblica amministrazione.

I servizi pubblici e privati, saranno sempre più decisivi in futuro. Dal punto di vista dell’occupazione e da quello della competitività generale del sistema. In questo senso il problema del rigore muta il suo volto e può divenire agente di sviluppo. Anche la spesa pubblica, tanto vituperata senza ragione se si accetta questo paradigma, può essere un volano di crescita così come è in tutti Paesi economicamente e socialmente virtuosi. E questo vuol dire eliminare lo spreco creato per incapacità amministrativa, per cleptocrazia, per le posizioni di rendita. La semplificazione amministrativa insieme alla eliminazione della spesa che genera rendita e non produttività sono essenziali per raggiungere un giusto rigore.

Solo in questo modo ci si può porre alla testa della riforma dell’Europa. Questo mi pare possa e voglia fare il governo. Perché il nostro obbiettivo di governo deve essere una cultura riformista per l’Europa. Un riformismo che lotta anche per una trasformazione culturale. L’Europa non è sottrazione di sovranità come, ahimè, la Germania intende. L’Europa è condivisione di sovranità. E quindi l’Europa deve essere governata dal Parlamento europeo e non dalla Commissione. Quest’ultima è avvitata su se stessa e ha elaborato indici di rigore nemici dello sviluppo e non idonei a comprendere e governare aree territoriali e nazionali tanto diverse come quelle europee. L’Italia sta avviandosi con slancio verso quel cambiamento di paradigma prima evocato. Uno slancio che supera alcune incertezze e pericolosi vuoti di sostegno internazionale per via della crisi ucraina. Essa ha disvelato la debolezza strategica nord americana, tanto in Nord Africa quanto in Europa.

Per questo l’unione mediterranea europea, su cui si insiste autorevolmente – penso al professor Giuseppe Guarino e a Romano Prodi – ora diviene essenziale. Il plesso di risorse, sia dell’Europa del Sud, sia di una nazione decisiva nella configurazione economico-istituzionale dell’Europa continentale come la Francia, è decisivo per ridiscutere l’assetto dei vincoli oggi in atto, agendo come massa critica.

La necessità di rispondere alla crisi con una sommatoria di politiche rivolte alla crescita impone un passaggio dei controlli dal breve al lungo termine, coordinando le politiche economiche su scala globale e non solo continentale. Il Trans Atlantic Act rappresenta un obbiettivo essenziale per la ripresa. Solo un rapporto stretto e integrato tra Usa ed Europa sul piano commerciale può assicurare una decisa svolta economico-sociale e questo è possibile solo se si combatte la deflazione e quindi l’austerità alla tedesca. La Germania deve abbandonare quella concezione dell’Europa come sottrazione e non come condivisione di sovranità, dimostrata con l’ostilità nei confronti degli euro bond e di un’unione bancaria che abbia al suo centro sia la trasparenza sia la condivisione del rischio in forma mutualistica. Ma anche la Germania sta cambiando, i segnali sono moltissimi e vanno dalle sentenze della Corte Suprema alle proposte di molti centri studi che contestano la politica di austerità anti produttivistica e fondata su un eccesso di surplus commerciale.

In questo contesto, il rigore giusto per la produttività e la competitività, e quindi per l’aumento dell’occupazione e dei consumi, può riformisticamente trasformare l’Europa. Questo è il cambiamento di paradigma. Un’Europa che lotti per la convergenza economica e sociale e che possa così far convivere serietà e rigore nazionale con mutualità e condivisione continentale: un’Europa finalmente della crescita e dello sviluppo sociale.

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Consiglio di Sorveglianza Fasc - 28 marzo 2014

A seguito della predisposizione da parte del Comitato Esecutivo della Fondazione del progetto di bilancio consuntivo per l’anno 2013 si è riunito in data 28 marzo scorso il Consiglio di Sorveglianza del Fasc sotto la Presidenza del Sig. Boccaccio Massimo. Dopo ampia verifica della documentazione di riferimento e i numerosi interventi che hanno apprezzato le buone performance degli investimenti mobiliari e la diminuzione dei costi della Fondazione, il Consiglio di Sorveglianza ha espresso all’unanimità parere favorevole al predetto progetto di bilancio.

Particolare attenzione è stata rivolta inoltre sia all’andamento del recupero della evasione contributiva sia al completamento degli atti volti alla pubblicazione della gara pubblica ad evidenza europea per l’affidamento di parte del patrimonio mobiliare ai gestori finanziari. Su entrambe le questioni la Fondazione si è impegnata ad aggiornare e a relazionare il Consiglio di Sorveglianza.



Gara pubblica europea per la selezione dei gestori finanziari

Da mesi, verificato l’obbligo di applicazione del Codice degli appalti pubblici anche per la tipologia dei servizi prestati dai gestori finanziari, con valore superiore alla soglia comunitaria, il Fasc è impegnato nella definizione dei contenuti della gara pubblica ad evidenza Europea.

Tale gara riguarderà l’affidamento di circa 210 milioni di euro, che sono parte del patrimonio mobiliare, a tre gestori finanziari per sei anni sulla base di una convenzione tra Fasc e i soggetti aggiudicatori che prevede tra l’altro un asset allocation articolato tra azionario (25%) e obbligazionario (75%) già in essere con gli attuali gestori.
Entro il 20 aprile la gara dovrebbe essere pubblicata prima sulla Gazzetta europea poi su quella italiana.



Nuovi mandati per la locazione dello sfitto

La società immobiliare ha affidato per l’anno 2014 gli incarichi ad operatori del settore per la promozione e l’affittanza del patrimonio immobiliare della società il cui socio unico è la Fondazione Fasc.

Molte le novità:
 - è stata eliminata la esclusiva ossia su ogni immobile sono stati individuati una società capofila e altri mediatori che operano in contemporanea;
 - le provvigioni precedenti sono state ridotte dal 20% al 30%;
 - ai soggetti non capofila è stata praticata una riduzione ulteriore di circa il 2%;
 - nel caso in cui i contratti di locazione siano perfezionati direttamente dal Fasc nulla sarà dovuto ad alcun mediatore;
 - nei mandati, che non escludono possibili alienazioni, ove convenienti, sono inserite ulteriori e particolari clausole a salvaguardia della società immobiliare.
La struttura di Fasc Immobiliare è impegnata a presidiare e incalzare le attività dei mandatari per raggiungere risultati migliori e più ampi di quelli che, pur positivi rispetto alle forti criticità del mercato della locazione, sono stato registrati per l’anno 2013.